«Siamo il Paese più popoloso dell’Africa, il nostro petrolio fa gola a molti, povertà e corruzione sono una piaga aperta da troppo tempo e negli anni il popolo ha perso fiducia nelle istituzioni. Boko Haram approfitta di questa situazione per colpire, e a volte trova consensi in alcune frange della popolazione. Ma la stragrande maggioranza non si riconosce nei suoi deliranti proclami, vuole pace e rifiuta la violenza. Tanto più quando viene giustificata nel nome di Dio». Peter Kamal è il rettore del seminario di Jos, nel nord della Nigeria, una delle zone nel mirino della furia devastatrice del gruppo terroristico che già nel nome (che tradotto significa «l’educazione occidentale è peccato») manifesta il suo programma impastato di radicalismo islamico e ostilità verso chi non si riconosce nei suoi proclami. Al dolore per gli episodi che anche in questi giorni hanno colpito la Nigeria, il sacerdote unisce la fiducia nell’operato di Buhari, il presidente musulmano uscito vincitore dalle recenti elezioni e che a suo giudizio sta manifestando più determinazione rispetto al suo predecessore, il cristiano Goodluck Jonathan, nel contrasto al terrorismo islamico, grazie anche a una più stretta collaborazione militare con Ciad, Niger e Camerun.
Ma soprattutto mette in evidenza il modo con cui tanti cristiani stanno davanti al fiume di sangue che scorre nel Paese. «La fede che manifestano è per me una grande testimonianza di cosa conta davvero nella vita. Molti attentati avvengono nelle chiese, ma le chiese sono sempre piene di gente, e più di uno mi dice: “Padre, se dobbiamo morire, preferiamo morire qui, vicini al corpo di Cristo”». I cristiani sono il 30% della popolazione (il 40% è musulmano, il resto animista), ma la Chiesa cattolica sta conoscendo una stagione di grande crescita: aumentano le conversioni di adulti provenienti da altre fedi, i vescovi e il personale religioso sono interamente locali, si stanno costituendo altre 5 diocesi. Nel seminario di Jos, di cui don Peter è rettore, ci sono 400 giovani e aumentano le domande di ingresso. «Tutto questo è frutto della testimonianza resa da tanti cristiani nella vita quotidiana, più che di strategie pastorali studiate a tavolino. Accade esattamente quello che ha più volte osservato papa Francesco: il cristianesimo si sviluppa per attrazione, non per proselitismo. Da noi si fa esperienza di quello che scriveva Tertulliano nel terzo secolo: il sangue dei martiri è seme di nuovo cristiani».
Il seminario di Jos è “circondato” da quattro moschee. «È il segno di una convivenza dettata dalla realtà. Con i musulmani la convivenza è generalmente buona, anche se non mancano episodi inquietanti, messi in atto da estremisti che vogliono aumentare la conflittualità e destabilizzare il Paese. La maggioranza dei musulmani condanna in cuor suo questi gesti, ma ci vuole più coraggio nella denuncia. Il dialogo è necessario, ma si deve dialogare nella verità, mettendo ai margini chi usa la violenza. Questo è un tempo difficile e affascinante insieme, di prova e di grazia, perché sperimentiamo che Dio non ci abbandona mai. Stiamo imparando che la vita non è un insieme di problemi da risolvere, ma un mistero da vivere con la certezza che Cristo ha vinto il mondo».
dal quotidiano Avvenire