I testi biblici esprimono il richiamo alla conversione attraverso due modalità. La prima è quella del “ritornare a Dio“, espressa con il verbo ebraico shuv (“ritornare”) e che, ancora oggi, gli ebrei chiamano teshuvàh (“conversione”). Si tratta di un mutamento radicale di tutta l’esistenza, quasi di una “inversione di rotta”, resa visibile dall’esortazione a “raddrizzare i sentieri” (Mc 1, 3; Is 40, 3-4).

La seconda è quella del “cambiamento di mentalità“. Essa viene espressa con il verbo greco metanoèin (“cambiare la mente”), che ha dato origine al termine “metànoia” (con cui anche noi oggi chiamiamo la conversione). Si tratta di una trasformazione del modo di pensare, di valutare e anche di agire, che la filosofia greca, cui si ispira questo verbo, colloca nel noùs (“la mente”).

Nei testi dell’Antico Testamento il richiamo alla conversione (soprattutto nella predicazione dei Profeti) è rivolto al popolo d’Israele perchè si corregga delle molte infedeltà all’alleanza stretta con il suo Dio. All’orizzonte di questo richiamo si intravede una drammatica minaccia: se Israele non “ritorna al suo Dio”, verrà sradicato dalla terra che gli è stata data in dono e subirà il castigo dell’esilio.

Nei Testi del Nuovo Testamento (soprattutto nei Vangeli) la conversione riguarda particolarmente il rinnovamento interiore dell’uomo, la purezza del suo cuore (inteso come fonte del bene o del male), l’adesione piena alla Parola di Gesù, la volontà di mettersi alla sua sequela, come attenti discepoli. Gesù non minaccia chi non si converte, ma constata con dolore la sua esclusione dal Regno di Dio da Lui annunciato (cioè dalla salvezza).

I segni della conversione nell’AT sono gli stessi della penitenza: stracciarsi le vesti e vestirsi di sacco (un tessuto ruvido e fastidioso), cospargersi di cenere e astenersi dai profumi, piangere e digiunare (cfr il libro di Giona).

E’ tanto grande l’amore di Dio per l’uomo che Egli stesso non esita a “convertirsi” (cfr Gioele 2, 14; Giona 3, 9), per evitare alla sua creatura di correre il rischio del fallimento totale, cui conduce il peccato (è il significato del verbo “perdere” o “andare perduti”, tanto frequente nei Vangeli).

Primo Gironi, biblista

tratto dal foglietto “La Domenica” del 24 agosto 2014 (XXI domenica del T. O.)