Intervista. Parla Philippe Pozzo di Borgo: dalla sua storia è nato un film dal successo planetario. «La globalizzazione dimentica il silenzio»

Produceva champagne, poi l’incidente e la morte della moglie. Ma è risalito dall’abisso, anche grazie al badante marocchino. «L’Occidente è in un vicolo cieco. La felicità è nella frugalità e nella cura dell’altro. Leggo Camus e Saint-Exupéry»

PARIGI
Tetraplegico dal 1993 in seguito a un incidente di parapendio, Philippe Poz­zo di Borgo, classe 1951, ex direttore di una prestigiosa azienda di champa­gne, ha raccontato la sua storia nel li­bro Il diavolo custode (“Le Second Souffle”, 2001): la perdita della mobi­lità di tutti gli arti, la depressione dopo la morte della moglie Beatrice, l’incontro con l’aiutante do­mestico Yasmin Abdel Sellou, marocchino, la ri­trovata gioia di vivere. Dal libro è nato il film Qua­si amici ( Les intouchables, 2011: 55 milioni di spettatori nel mondo) di Olivier Naka­che e Éric Toledano, in cui il ruolo di Philippe è interpre­tato da François Cluzet. Da ottobre Philippe si trova in o­spedale e resterà allettato fi­no a marzo.

Come va il nostro mondo?

«La notte scorsa, mentre sof­frivo, pensavo a tutto il dolo­re spaventoso che c’è nel mondo. Allora mi dico semplicemente che c’è an­cora molto da fare nella nostra umanità. Perché queste sofferenze possono essere diminuite. La sof­ferenza è legata all’umiliazione delle persone. Sia­mo in una società che crea umiliazione, attraver­so la miseria, la mancanza di rispetto. Ricevo un’in­finità di messaggi di persone un po’ a pezzi. Penso che nel mondo ci siano cinque o sei miliardi di u­miliati. Come si può stare in una società così vio­lenta, sempre più violenta? Siamo in transizione? Con la globalizzazione finanziaria si avverte che ci troviamo in un vicolo cieco. Quale può essere una parola di fede quando c’è tanta sofferenza, tanta violenza e tanta umiliazione generalizzata? Siamo ben lontani da un mondo pacificato dalla presen­za di Dio. Perché “venga il suo regno”, c’è ancora molto da fare!».

E lei, qual è il suo stato di spirito?

«Ho conosciuto tre lunghi periodi di silenzio. Un po’ imposti. La prima volta: un anno di ospedale do­po l’incidente, in rianimazione, allettato, a guar­dare il soffitto senza potermi muovere. La secon­da volta dopo la morte di Beatrice: era un silenzio di depressione. La terza volta, vent’anni dopo, è oggi. Per tre volte mi sono trovato in silenzio, a guar­dare il soffitto, che significa faccia a faccia con se stessi, con il cielo interiore. In queste tre esperien­ze ho sempre avuto la stessa sensazione, io che e­ro molto attivo, molto impegnato, molto perfor­mante, molto caricaturale della nostra società oc­cidentale. Nel silenzio, e completamente inerme, ogni volta ho avuto la sensazione di vivere una mi­se en abyme , cioè di toccare il fondo del fondo di cosa sono, di chi sono. E a quel punto mi chiedo se non si tocchi lo Spirito di Dio, ritrovando, nella pro­pria esistenza, il vero mistero della vita. Sei nel più profondo di te stesso e sei nella creazione. Sono molto affascinato dalla contrapposizione che esi­ste tra questa creazione, nella quale sono, che è in­finitamente fragile, diversificata, complessa, tran­sitoria, e il mondo totalmente monolitico nel qua­le mi trovavo prima, che semplifica le cose, le stan­dardizza… Mi chiedo se oggi la nostra società non vada verso la collisione, verso l’assurdo, per i tanti umiliati che ci sono».

Quali sono le cause di questo rischio di collisio­ne?

«Primo flagello: il bisogno di mettersi al sicuro at­traverso l’avidità, accumulando, invece di mollare la presa. Bisognerebbe fermare questa corsa, que­sta concorrenza, questa obesità di comportamen­to. Bisogna smettere di avere paura. Mi chiedo se non ci sia questo all’origine di tutto. Mi riferisco al comune consumatore. Quanto ai super-ricchi, per me è qualcosa che supera la capacità d’intendere. Va cancellato! Il consumismo m’inquieta, certa­mente. È indecente. Secondo flagello: l’egoismo, che fa sì che non si veda l’altro. Come si può esse­re brutali, indifferenti? Il disimpegno, faccio fatica a capirlo. Se si ripartisse in maniera egualitaria la ricchezza mondiale, il livello di vita di tutti gli uo­mini sarebbe quello medio della Turchia».

Non c’è speranza possibile?

«Penso che ci sia un rinnovamento nella riflessio­ne. Sento la gente parlare di ecologia, ad esempio, anche se in Francia se ne parla male. I rischi, la po­vertà… Si sente dire, sempre più spesso, che non se ne può più. La prima riforma da fare è rendere il silenzio obbliga­torio [ride, ndr ]. Perché quan­do sei in questa interiorizza­zione, quando ti cancelli per fare spazio al mondo dentro di te, ti accorgi che questo mondo è straordinariamente intelligente. Ascolto Cristo, at­traverso quello che mi dicono il curato di Essaouira (Maroc­co) e altri, e sento qualcuno che esprime esatta­mente il buon senso, una soluzione per il mondo: la felicità nella frugalità e l’attenzione agli altri, ai più piccoli, ai più sfortunati. Da duemila anni non c’è stato nulla di più pertinente di questo messag­gio per sradicare l’umiliazione. Cristo è anche un gruppo. È sempre con i suoi discepoli. Anche se Cristo sembra essere sempre l’ispiratore, l’azione degli apostoli è collettiva. Questo disegna forse un modello sociale basato sulle associazioni. Sono molto sensibile alla fraternità nell’umanità, quan­do leggo Saint-Exupéry e Camus. La responsabilità. Bisogna prendersi le proprie responsabilità, biso­gna fare la propria parte. Camus è molto vicino a quanto dice Cristo».

(per gentile concessione del quotidiano “La Croix” traduzione di Anna Maria Brogi)

tratto dal quotidiano Avvenire


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FILM Una scena di “Quasi amici” di Oliver Nakache con Eric Toledano (2012). Sotto, Philippe Pozzo di Borgo