Ma una persona gay, o con tendenza omosessuale, non può essere anche un buon sacerdote? Nelle centinaia di commenti arrivati sul nostro sito sul caso di Krysztof Charamsa, il sacerdote polacco che ha dichiarato la sua omosessualità alla vigilia del Sinodo e che il Vaticano ha poi sollevato da tutti gli incarichi, l’interrogativo che emerso è stato proprio questo. Abbiamo girato la domanda al teologoSeverino Dianich, prete della diocesi di Pisa, laureato in teologia alla Pontificia Università Gregoriana e già professore ordinario di ecclesiologia e cristologia alla Facoltà di Teologia di Firenze. «Sul caso dell’outing di mons. Charamsa bisogna distinguere tra la tendenza e la pratica. Uno, per assurdo, può avere anche tendenze omicide e non aver dato un graffio a nessuno», spiega don Severino. «La scelta del celibato prevede la castità, indipendentemente se uno abbia tendenze omosessuali o eterosessuali. Non conosco la situazione personale di Charamsa», spiega il teologo, «però quello che ha detto e che rivendica mi sembra incoerente con la libera scelta del sacerdozio cattolico che lo ha portato ad assumere posti di responsabilità all’interno della Chiesa fino alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Quale coerenza ci può essere tra tutto questo e le sue convinzioni, che possono restare legittime e rispettabili? Se tu entri in un’istituzione con tali impegni s’impone il dovere di coniugare le due cose e non vivere in maniera schizofrenica la missione che si assume».

Ma l’omosessualità non è talvolta un “ostacolo” alla vocazione sacerdotale? «Se una persona manifesta tendenze omosessuali queste possono complicare la scelta del celibato», risponde don Severino, «in realtà, la questione della tendenza omosessuale non tocca di per sé la persona che ha fatto i voti ma tocca semmai il discernimento vocazionale durante gli anni in seminario. Una tendenza omosessuale può complicare ulteriormente la formazione al celibato. Il discernimento è come dare una valutazione a una persona, e quindi bisogna dare a quella persona la garanzia che domani possa vivere felicemente il suo voto di celibato. Se così non è, io consiglio di lasciar perdere e prendere un’altra strada. Nessuno è obbligato a diventare prete».

La preparazione in seminario è decisiva, dunque. «Certo, il discernimento deve essere molto profondo e deciso. Poi, intendiamoci, siamo uomini, si sbaglia in tutto e indovinare il futuro di una persona umana è quasi impossibile. Il criterio fondamentale però non è il bene della Chiesa ma il bene della persona. Charamsa adesso sta affrontando grosse difficoltà di vita e una sofferenza di altissimo livello, quindi nel discernimento quando ho davanti a me un giovane ho la preoccupazione che domani non si ritrovi in questa situazione. Meglio un prete in meno che un prete infelice».

Dianich distingue tra la fase del discernimento e il dopo. «Nel discernimento», spiega, «bisogna essere molti scrupolosi: già il celibato è molto complesso, se si aggiunge la tendenza omosessuale lo diventa ancora di più. Quindi io sono per l’esclusione ma per il bene della persona. La Chiesa cattolica, pur esprimendo il doveroso rispetto per queste persone, ritiene la pratica omosessuale non moralmente giusta. Se un giovane vuole entrare nell’istituzione ecclesiastica e fare il voto di castità se ha questa ulteriore condizione mi pare giusto sconsigliargli di andare avanti». Ma se, nonostante questa tendenza, ha fatto il voto di celibato? «Indipendentemente se il discernimento sia stato fatto bene o male deve restare fedele al voto che ha fatto. E la grazia di Dio lo aiuterà a farlo».

Nel caso di Charamsa non cambia nulla: «Se lui avesse avuto una compagna, sarebbe la stessa identica cosa», dice il teologo. «Non può restare prete se vuole sposarsi con un’altra persona. Se, poniamo il caso, va in un Paese dove l’unione omosessuale è riconosciuta a livello civile, interviene la sospensionea divinis, quindi viene spretato. Attenzione, però: non è corretto impostare la questione sulla punizione, la via è un’altra, se lui ha deciso di vivere un’unione di tipo matrimoniale, anche se omosessuale, per la Chiesa è la stessa cosa che se andasse con una donna. E questo non è compatibile con il ministero e quindi in assoluta libertà, se ritiene, può lasciare il sacerdozio».

Ma se un prete si innamora di una donna e ha una debolezza passeggera ma non una relazione stabile? «La moralità di una vita da prete deve essere considerata sullo stesso piano di tutti gli altri fedeli cristiani», è la risposta di Dianich. «Questo caso è analogo all’uomo sposato che ad un certo punto perde la testa per un’altra donna. Questo innamoramento può essere un evento occasionale che poi in breve tempo si risolve oppure può trasformarsi in una decisione e in un rapporto stabile. In questo caso si rompe di fatto la convivenza matrimoniale come si rompe l’esercizio del ministero. Nella mia lunghissima vita di prete ho avuto numerosi casi di preti in crisi, alcuni dopo una riflessione attenta hanno abbandonato il ministero, altri gioiosamente hanno deciso di continuare. Dipende dalla persona».

 Monsignor Krzysztof Charamsa, 43 anni, polacco, dopo il suo annuncio di essere gay e avere un compagno è stato rimosso da tutti gli incarichi. Era ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 2003, segretario aggiunto della Commissione Teologica Internazionale vaticana e insegnante di teologia alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum a Roma
Monsignor Krzysztof Charamsa, 43 anni, polacco, dopo il suo annuncio di essere gay e avere un compagno è stato rimosso da tutti gli incarichi. Era ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 2003, segretario aggiunto della Commissione Teologica Internazionale vaticana e insegnante di teologia alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum a Roma
tratto da Famiglia Cristiana