«IL giusto per fede vivrà» (Rm 1, 17) è una frase dai molteplici aspetti, appartenenti ciascuno a un differente contesto. Nell’Antico Testamento, “fede” si identifica con “fedeltà”, da parte di Dio, e con “fiducia”, da parte del giusto. Proprio mentre il diritto è travolto e il non intervento di Dio viene giudicato come consenso, il Signore si appella alla propria “fedeltà”; nei tragici momenti del “silenzio” di Dio, il giusto deve conservare la sua “fiducia” (Ab 2,4). Il binomio “fedeltà-fiducia” costituisce la risposta a tutti i “Perché?” che noi rivolgiamo ripetutamente a Dio; la “perseveranza” è il comportamento che ne deriva, sull’esempio degli antichi personaggi citati nella lettera agli Ebrei (10,12 – 12,29). Contro il nemico, il diavolo, che di continuo ci insidia sotto diverse forme, vale sempre l’ordine: «Resistetegli saldi nella fede» (1 Pt 5, 9). Ben differente, invece, è il contesto di Paolo, ossia quello della “giustificazione”, esclusiva “opera” di Dio, nella quale la parola “fede” assume il significato di assoluta gratuità, pura “grazia”, svincolata dalle opere dell’uomo, immerso nel peccato. Le formule del Magistero, infine, si riferiscono alle “verità” della rivelazione, che richiedono l’assenso del credente.

Tarcisio Stramare, osj

Foto: “La fede”, altorilievo del ’500, Alba, sacristia del Duomo. Foto Marcato.

Tratto dal foglietto “La Domenica” dell’8 dicembre 2013